Non sono mancati, nel corso dei secoli, personaggi anche illustri che hanno voluto accollare la croce.

Si è già detto, nel capito riguardante la storia dell’Arciconfraternita, come nel 1943 fu lo stesso Arcivescovo di Lanciano, Mons. Pietro Tesauri a farsi Cireneo.

Dagli atti del processo di beatificazione di San Pompilio Maria Pirrotti apprendiamo che il 12 febbraio 1747, Giovedì Santo appunto, trovandosi a Tornareccio, egli: 

con una croce di legno, pesante sulle spalle, corona di spine sul capo, a piedi nudi, nelle gambe postesi due forge di ferro e con dette due catene trascinandole in compagnia di alcuni altri ecclesiastici di quel Comune… sicché fece un viaggio di tal forma di penitenze per cammino disopra a sette miglia, e per strade di campagna spinose, molto sassose e di salite…

Questa importante testimonianza documenta l’antichità di questa tradizione nel nostro territori ma questo tipo di manifestazioni, furono, proibite dalla riforma liturgica promossa da Benedetto XIV (Bologna, 31 marzo 1675 – Roma, 3 maggio 1758), per la loro tendenza a scadere in forme eccessivamente scenografiche e in espressioni di esagerato fanatismo.

La processione del Giovedì Santo, nella forma in cui la conosciamo ha, infatti, origini abbastanza recenti.

La sua istituzione, all’inizio degli anni ’80 del secolo appena trascorso, è legata alla figura del compianto Priore Filippo De Rosa e al Consiglio Direttivo dell’epoca che con entusiasmo accolse la sua proposta, finalizzata a rendere “comunitaria” la visita dei Confratelli ai “Sepolcri” allestiti nelle chiese cittadine.

Se in tempi moderni la visita ai “sepolcri” che inizia al calare della sera del giovedì (nel momento in cui per gli antichi iniziava la giornata del venerdì) deve svolgersi presso almeno tre chiese e sempre comunque in numero dispari in origine non dovevano essere meno di sette. L’itinerario filippino, che si snodava lungo ventiquattro chilometri, prevedeva, infatti, sette soste presso le quattro Basiliche maggiori di San Pietro in Vaticano, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, San Paolo fuori le mura e le tre Basiliche minori di San Sebastiano sull’Appia, Santa Croce in Gerusalemme e San Lorenzo fuori le mura.

Le basiliche custodivano preziose reliquie ed erano anche luoghi di sepoltura dei martiri, è possibile che proprio per quest’ultima ragione sia invalso l’uso di indicare le stazioni come “Sepolcri” che ha poi portato la devozione popolare a ritenere impropriamente “Sepolcro” il tabernacolo  che si espone sull’Altare della Reposizione al termine della messa “in Coena Domini”, che segna l’inizio del Triduo Pasquale.

A ciascuna delle sette soste presso “Sepolcri” viene associato un particolare momento della Passione di Cristo, in parte coincidenti con le stazioni della Via Crucis: Gesù nell’orto degli ulivi, Gesù davanti al Sommo Sacerdote Anna, Gesù davanti a Caifa, Gesù davanti a Pilato, Gesù davanti ad Erode, Gesù ricondotto a Pilato, Gesù sul Golgota.

 

Di questa pia espressione della devozione popolare ci resta una testimonianza tangibile in un piccolo libricino di preghiere stampato nel 1846:

I “Sepolcri” e la processione del Giovedì Santo

di Domenico Maria S. del Bello

Tra i riti della Settimana Santa la processione degli Incappucciati, che si svolge il Giovedì Santo a Lanciano, è certamente uno dei più suggestivi, singolari e caratteristici.

Dalla chiesa di Santa Chiara, dopo il tramonto, escono, disposti in due file, i soli confratelli maschi, col cappuccio abbassato sul volto a celarne l’identità, accompagnati dalla Banda Musicale, facendo ala, con le torce accese, alla figura centrale del sacro corteo: il Cireneo.

Il Cireneo è il confratello, scelto dal Priore, che, trasporta lungo le vie della Città una pesante croce di legno, emulo di Simone di Cirene, l’uomo che lungo la salita al Golgota, secondo i Vangeli, condivise con Cristo, ormai stremato dalla flagellazione e dagli altri supplizi che gli erano stati inflitti, il peso della la croce

Caricarsi della croce rappresenta, per il Cireneo, non una mortificazione ma la grazia poter camminare assieme a Cristo Gesù, il cui amore divino redense l’umanità intera.

Condividere la sua croce e la sua sofferenza, così come portare sollievo a chi soffre, è per il Confratello, uno strumento per ottenere la propria salvezza e contribuire alla salvezza del mondo.

 

 

 

La processione degli Incappucciati, pertanto, è destinata a trasformare ciò che sarebbe, altrimenti, essenzialmente un’esperienza di pietà religiosa individuale, in un’esperienza collettiva, elevando l’impatto emozionale e le suggestioni di tale esperienza, da un piano personale, al piano corale dell’intera comunità dei confratelli.

 

Il sacro corteo dell’Arciconfraternita della Morte e Orazione trae, quindi, origine da un profondo e significativo substrato storico e culturale che si riallaccia agli elementi più caratteristici della spiritualità cristiana e che è andato ad innestarsi sull’antica tradizione dei “Sepolcri”.

 

La consuetudine dei Sepolcri, a sua volta, parrebbe essersi sovrapposta alla pratica devozionale della visita alle “Sette Chiese”, che si fa risalire ai primi secoli del cristianesimo, ma che venne recuperata, dal 1552, proprio da San Filippo Neri, come itinerario penitenziale quaresimale, divenendo usanza ben documentata e radicata nel popolo nel periodo barocco.

 

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